Narrare significa fare un gioco
attraverso il quale si impara a dar senso alla immensità delle cose che sono accadute e accadono e accadranno nel mondo reale. Leggendo romanzi sfuggiamo all’angoscia che ci coglie quando cerchiamo di dire qualcosa di vero sul mondo reale.
Questa è la funzione terapeutica della narrativa e la ragione per cui gli uomini, dagli inizi dell’umanità, raccontano storie. Che è poi la funzione dei miti: dar forma al disordine dell’esperienza.
Umberto Eco
Jerome Bruner (1996), lo psicologo statunitense che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo della Psicologia Cognitiva, ha considerato la narrazione sia come modo di pensiero, sia come espressione della visione del mondo di una cultura.
Secondo l'esperto l’esperienza dell’ individuo si organizza, viene elaborata e diventa comunicabile assumendo le caratteristiche di un racconto.
Infatti sotto forma di narrazione, le persone rappresentano la propria vita, se stessi e gli altri, creando una versione del mondo in cui trovano un proprio posto, e costruendo così la propria identità.
Raccontare storie è una attività peculiare dell’uomo, un atto interpretativo comune e condiviso che consente l’acquisizione del sistema di significati della propria cultura.
L’elemento narrativo, infatti, rappresenta una possibilità di relazione tra sé e gli altri, uno strumento attraverso cui costruire e negoziare significati e valori.
Queste semplici tesi di partenza conducono di per sé all’idea che le pratiche narrative siano alle origini della comunità. La tesi, largamente condivisa, viene convalidata essenzialmente prendendo in causa l’evidente qualità narrativa dei contenuti della memoria collettiva su cui ogni comunità fonda la propria identità e l’individuo sociale trova collocazione e proiezione.
È attraverso la ricezione e la rievocazione di storie che appartengono alla memoria collettiva che si rinsaldano l’identità collettiva e il senso di appartenenza, offrendo sul piano emotivo e interpretativo anche la capacità di interpretare i bisogni e gli scopi presenti.
Lo Psicoanalista Rapaport (1998) si è occupato del ruolo che la narrazione può assumere nello sviluppo del senso psicologico di comunità e nella costruzione dell’identità individuale e collettiva.
Tutte le comunità elaborano delle narrazioni, e queste influenzano lo sviluppo dell’identità dei suoi membri.
Egli distingue tra storia, la rappresentazione cognitiva organizzata temporalmente e tematicamente che l’individuo ha degli eventi nel tempo, e narrazione, termine con cui si riferisce alle storie condivise, attraverso l’interazione e le diverse forme di comunicazione, all’interno di un gruppo: è proprio l’esistenza di una narrazione condivisa che fa di un gruppo di persone una comunità!
Playback Theatre - Il Teatro per le Comunità
Il Playback Theatre è una forma originale di improvvisazione teatrale in cui i performers (attori e musicisti), guidati da un conduttore, restituiscono sulla scena, all’istante, le storie narrate dal pubblico.
Grazie alle intuizioni e alle sperimentazioni di Jonathan Fox, Jo Salas e della "Original Playback Theatre Company", negli anni '70 nasce questa speciale forma di collaborazione tra i performers e i partecipanti.
How it Works?
Qualcuno narra una storia o un momento della propria vita, sceglie gli attori per rappresentare i differenti ruoli e poi guarda la sua storia immediatamente ricreata e offerta con una forma ed una coerenza artistica.
Dal momento in cui il conduttore formula la frase "Let's watch!" si crea uno spazio rituale nel quale ogni storia, qualunque essa sia, possa essere narrata ed immediatamente trasformata in teatro e la restituzione rispettosa che ne risulta da parte dei performers trasforma il livello personale in sociale e simbolico.
Per questo il Playback Theatre può essere definito come il "Teatro della Reciprocità" dove il patrimonio personale può diventare un patrimonio culturale per quello specifico gruppo di persone.
Il potere trasformativo
Il valore dato da questo strumento ad un evento collettivo è la possibilità per il gruppo e per il singolo di arricchire la propria consapevolezza (competenze, conoscenze, informazioni, emozioni …) rispetto ad un tema specifico. Uno spazio dove l’unicità delle persone è rispettata, e reciprocamente si costruiscono e si intensificano le connessioni tra le persone rafforzando lo spirito di appartenenza.
Funzione ultima del Playback Theatre è quella di svolgere un atto di servizio alla comunità, fornendo alla stessa l’opportunità di vedersi e riconoscersi nelle sue diversità, come premessa ad un possibile cambiamento.
“Il Playback Theatre è teatro … ma è anche un processo di interazione sociale con un compito di servizio per il suo pubblico, un compito che la maggior parte degli altri tipi di teatro non condividono” - J. Salas, 1999.
È in questa ottica di servizio che risiede il valore del Playback Theatre ed è in questo che si offre come valido strumento di sviluppo di comunità.
“Uno spirito di generosità è alla base dell’esperienza del Playback Theatre. Per la maggior parte i performer appartengono a gruppi che sviluppano le loro abilità attraverso un training regolare e poi performano per la loro comunità come un dono o in una maniera che somiglia a un dono. L’intero processo è basato sull’idea di uno scambio. Il narratore racconta una storia privata pubblicamente come un dono per gli spettatori. Gli attori rischiano di fallire nel restituire un dono per il narratore. Il pubblico dà loro profonda attenzione. Tale dialogo, fondato su una narrazione genuina, un ascolto rispettoso ed una riflessione creativa, incoraggia lo sviluppo di integrità e fiducia. Può essere un modello per costruire la pace in un mondo fratturato”
Jonathan Fox, Aprile 2004.
Per saperne di più, puoi richiedere la dispensa gratuita "il Playback Theatre di NODI" ed.2020 scrivendo una mail a nodi@nodionline.it
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